Il principio del ne bis in idem sostanziale implica che il soggetto sottoposto alla misura di prevenzione della sorveglianza speciale non risponda del reato previsto all’art. 9
della legge 27 dicembre 1956, n. 1423, quando la violazione degli obblighi concernenti la misura, e segnatamente dell’obbligo di vivere onestamente e di rispettare le leggi, consista in una
condotta già direttamente sanzionata da norme penali.
Il reato di cui all’art. 9 della legge 27 dicembre 1956, n. 1423, riferibile al sorvegliato speciale che violi il precetto di vivere onestamente e di rispettare le leggi,
sussiste unicamente quando ricorra una violazione degli obblighi specificamente gravanti sul sorvegliato medesimo, e non per la violazione da parte sua di obblighi derivanti da norme precettive
(di carattere penale, civile o amministrativo) che riguardino la generalità dei consociati. (In motivazione la Corte ha osservato come la soluzione opposta, per quanto accreditata dalla sentenza
della Corte costituzionale n. 282 del 2010, implicherebbe la lesione dei principi di uguaglianza, proporzionalità e finalizzazione rieducativa della pena, illegittimamente costruendo una
fattispecie fondata solo sulle qualità personali dell’autore).
Con ricorso in opposizione ad una sanzione amministrativa per violazione al Codice della Strada, l'automobilista - ricorrente sollevava preliminarmente eccezione di legittimità costituzionale
dell’art. 2 comma 212 L. 23 dicembre 2009 n. 191 che ha introdotto il comma 6 bis nel D.P.R. 30.05.2002 n. 115, con conseguente abolizione dell’esenzione dal contributo unificato per i ricorsi al
Giudice di Pace ex art. 23 della L. 689/81, ciò comportando il versamento di una somma in danaro per l’accesso alla tutela giurisdizionale.
Il Giudice di Pace di Fasano, reputando la questione non manifestamente infondata, ha rimesso gli atti al vaglio del Giudice delle Leggi per la verifica sulla legittimità costituzionale
dell’art. 2 comma 212 della L. 23.12.2009 n. 191 per violazione degli artt. 24, 111 e 3 della Costituzione.
Rileva il Giudice di Pace che <<il giusto processo non può svolgersi senza l’esercizio del diritto di difesa scevro da ogni limitazione anche di ordine economico e che tale problema,
della compatibilità tra il principio costituzionale che garantisce a tutti la tutela giurisdizionale dei propri diritti e singole norme che impongono determinati incombenti a carico di coloro che
tale tutela richiedono, è stato risolto dalla Corte Costituzionale distinguendo tra gli oneri che sono “tradizionalmente collegati alla pretesa dedotta in giudizio, allo scopo di assicurare al
processo uno svolgimento meglio conforme alla sua funzione” e quelli che tendono, invece, “alla soddisfazione di interessi del tutto estranei alla finalità predette” con il risultato di
“precludere o ostacolare gravemente l’esperimento della tutela giurisdizionale” incorrendo questi ultimi “nella sanzione della incostituzionalità” (Corte Costituzionale Sent. n. 522 del 2002
e n. 333 del 2001>>.
Il medesimo Giudicante evidenzia che <<il versamento del contributo unificato, conseguente alla rimossa esenzione, non appare assolvere allo scopo di “assicurare al procedimento uno
svolgimento conforme alla sua funzione”, apparendo introdotto “al fine di restringere il campo dei possibili ricorrenti avverso provvedimenti amministrativi”.
Puntualizza, inoltre, il Giudice rimettente che <<il ricorso amministrativo al Prefetto, non parimenti condizionato al pagamento del contributo suddetto, non può considerarsi rimedio
succedaneo alla tutela giurisdizionale>>, in questo modo stigmatizzando coloro che vedono nel ricorso prefettizio un mezzo di tutela “garantito” come quello di carattere
giurisdizionale.
Il Giudice a quo, sottolineando, altresì, che <<il contributo unificato spesso prevede un esborso, unitamente ai diritti di cancelleria, superiore all’entità della sanzione pecuniaria
inflitta con l’atto opposto>>, ha ritenuto che <<l’art. 2 comma 212 della L. 191/2009 vanifica l’intento perseguito dal legislatore di rendere parimenti accessibile la tutela
giurisdizionale contro i provvedimenti della p.a., irrogativi di sanzioni amministrative, perseguito anche attraverso l’attribuzione alla Cancellerie delle incombenze di notifica e attraverso la
prevista facoltà per le parti di stare in giudizio di persona>>.
Condivisibile è, in fine, il richiamo espresso alla normativa di cui alla L. 689/1981 (Depenalizzazione) emanata a suo tempo dal legislatore con l’intento esplicito di regolamentare un
procedimento “parallelo” al procedimento penale per provvedimenti non più di rilevanza penalistica ma di natura parimenti sanzionatoria.
Non vi è dubbio, infatti, che i provvedimenti conseguenti a violazione del C.d.S. e ad altre riconducibile al procedimento di cui alla L. 689/1981, pur se denominati “sanzioni
amministrative”, hanno talora conseguenze afflittive più gravose rispetto ad alcune sanzioni di carattere penale. Invero, la normativa in vigore, oltre alle sanzioni amministrative pecuniarie,
prevede diverse ipotesi di sanzioni accessorie quali: il sequestro di beni o di documenti, la confisca, la sospensione e la revoca della patente di guida, sanzioni, queste, parimenti applicabili
per fattispecie penalmente rilevanti.
Ne consegue che, se per il procedimento penale è garantita la difesa in maniera illimitata e soprattutto senza impedimenti di natura economica, il diritto alla difesa deve essere parimenti
garantito anche per i procedimenti sanzionatori-afflittivi di cui alla L. 689/1981 e non gravato dal pagamento di un contributo in danaro per la tutela del cittadino contro un provvedimento che
egli assume illegittimo.
(Giudice di Pace di Fasano - Avv. Maria Romanazzi, Ordinanza 4 giugno 2010: Manifestamente non infondata la questione di legittimità Costituzionale dell’art. 2 comma 212 della L. 23.12.2009
n. 191 per violazione degli art. 24, 111 e 3 della costituzione )